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Legge sull’ immigrazione Bossi-Fini





Legge sull’ immigrazione Bossi-Fini

Legge sull’ immigrazione(legge 30 luglio 2002 , n° 189 – Legge Bossi-Fini ) nella quale, infatti, fermi restando i molti  limiti, viene affermata l’importanza decisiva degli accordi bilaterali con i  Paesi di emigrazione, come strumento di gestione dei flussi, soprattutto in riferimento a quegli Stati cui appartengono le maggiori comunità presenti in Italia.Quello dell’immigrazione è un fenomeno dalle proporzioni crescenti, che richiede, per essere ricondotto a dimensioni non esasperate e non patologiche, la graduale, autentica maturazione di una cultura dell’ integrazione, fortemente ispirata a criteri e principi di solidarietà ed ancorata al rispetto dei diritti fondamentali dell’ individuo.



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Legge italiana sull'immgrazione - Legge Bossi - Fini


Sul piano storico, l’ arrivo dei primi flussi migratori comincia nei primi anni ’70 , con l’ inizio della crisi del petrolio; è proprio a questa epoca che iniziò l’immigrazione  nel nostro Paese di cittadini extracomunitari, anche se ci volle ancora molto tempo  prima che l’opinione pubblica si rendesse conto di quanto stava avvenendo.E’ comunque a partire dalla seconda metà degli anni ’80 che la portata del fenomeno migratorio comincia ad assumere proporzioni tali da guadagnarsi l’attenzione costante di analisti, istituzioni ed opinione pubblica .Nell’ ultimo decennio del XX secolo l’immigrazione accentua il suo ritmo di crescita e alla fine del 1999 gli stranieri presenti in Italia con un regolare permesso di soggiorno sono 1.340.000 (dati Istat), quasi duplicati rispetto ai primi anni ’70 e ora per oltre l’ 80% provenienti da paesi in via di sviluppo.L’Italia viene scelta dagli immigrati che non possono più raggiungere i ricchi Paesi dell’ Europa centro settentrionale a causa delle politiche restrittive e della chiusura delle frontiere da parte degli Stati più industrializzati.I primi nuclei di stranieri che  s’insediano nel Paese sono di provenienza molto varia: ci sono i cileni rifugiatesi in Italia dopo il golpe di Pinochet del 1973 ma, contemporaneamente a questi a Milano sono già attive comunità cinesi, egiziane, eritree, a Mazzara del Vallo è già numerosa la comunità tunisina impiegata sui pescherecci.Molto alta, tra gli immigrati, la componente femminile che trova occupazione nei lavori domestici, un settore lavorativo dove la domanda da parte delle famiglie è già alta e tende a crescere.Marzio Barbagli ricorda come, nel corso degli anni ’70 e all’ inizio degli anni ’80, si possono individuare quattro importanti processi migratori :1-    I tunisini s’indirizzarono principalmente verso la Sicilia, dove vennero impiegati nel settore della pesca ed in quello agricolo.2-    Donne filippine ed eritree, capoverdiane e srilankesi, somale e latino americane, vennero perlopiù impiegate come domestiche.3-    Immigrati provenienti dalla Jugoslavia ed Europa dell’Est si riversarono soprattutto in Friuli .4-    Rifugiati politici, ad esempio dal Cile, o studenti universitari asiatici o africani iscritti nelle università italiane.Naturalmente a questi primi flussi ne seguirono altri, negli anni Il più consistente è stato quello dei marocchini, che costituisce il gruppo più numeroso di cittadini extracomunitari che si trovano in Italia.


Come visto, il problema comincia ad essere percepito dall’ opinione pubblica e dall’ amministrazione, gli studiosi intraprendono le prime ricerche sulla condizione degli immigrati ed i più avveduti tra gli Enti Locali cominciano a supportare le organizzazioni del volontariato, cattolico prima e poi anche laico, nell’offrire i servizi ai lavoratori stranieri come alloggi, assistenza sociale, corsi di italiano .


Sono però anche quelli del grande afflusso di emigranti dai Paesi africani, in particolare dal Marocco, Tunisia e Senegal, che vanno ad aggiungersi agli altri gruppi nazionali africani già presenti nel nostro paese (gli eritrei, i somali e gli egiziani) .
Con la legge n. 39 del 1990, la cosiddetta “ Legge Martelli” sono numerosissimi gli immigrati di origine africana che riescono a regolarizzare il loro soggiorno in Italia, passando così da 99.878 del 1989 ai 238.130 del 1990, mentre gli asiatici nel 1990 raggiungono il numero di 145.812 . 
Nel corso degli anni ’90 abbiamo assistito ad un’ulteriore crescita di alcuni gruppi nazionali come i  marocchini, i rifugiati ex jugoslavi, gli albanesi ed i rumeni; mentre altri gruppi vanno stabilizzandosi, come i filippini ed i senegalesi.

Attualmente l’Italia è il quarto paese dell’ UE per presenza di stranieri sul proprio territorio, ma è quello con la più alta incidenza d’immigrati provenienti da Paesi non comunitari (circa l’88%) e uno di quelli più multietnici.
Su 10 stranieri immigrasti in Italia 4 sono europei (la maggior parte dell’ Europa centrale ed orientale), 3 africani (dei quali 2 provenienti dall’ Africa settentrionale), 2 asiatici, 1 americano e, in generale, quasi la metà proviene da paesi vicini geograficamente e politicamente.


POLITICHE D’INSERIMENTO IMMIGRATI



POLITICHE D’INSERIMENTO

 A questo punto è legittimo chiedersi perché gli immigrati siano attratti dall’Italia, cioè un Paese che ha gravi problemi di disoccupazione.
Per esempio alla fine degli anni ’80 alcuni ritenevano che in Italia non c’era disoccupazione, tanto è vero che venivano gli immigrati a prendere i lavori lasciati dagli italiani; vale a dire che l’immigrazione venne presa a dimostrazione del carattere volontario della disoccupazione italiana. Quello che si sente spesso dire in giro è che se i giovani avessero effettivamente voglia di lavorare il lavoro  lo troverebbero, così come lo trovano gli immigrati .
A metà degli anni ’80 si diceva che gli immigrati venivano perché l’Italia era diventata il quinto Paese industrializzato del mondo e così come prima andavano in Germania, in Francia, negli Stati Uniti, etc. ora vengono in Italia. Basterebbe  però vedere, che andavano anche in Grecia, in Portogallo, in Spagna, Paesi  che pure hanno qualche problema.
La risposta, paradossalmente, potrebbe essere: “gli immigrati vengono perché vengono”.
E’ ingenuo ricondurre a poche variabili del mercato del lavoro un fenomeno che è di portata mondiale e che riflette delle contraddizioni che avvengono a livello mondiale.
I motivi sono estremamente vari e complessi, anche se si possono individuare alcune motivazioni valide per tutti.
immigrati

Si può dire per molti versi che l’immigrazione in Italia così come in molti Paesi sviluppati, avviene per effetto della pesantissima pressione all’uscita che si verifica nei Paesi del Terzo Mondo. Gli studiosi dell’emigrazione analizzano  questo fenomeno chiedendosi se l’emigrazione è dovuta ad un effetto di spinta push effect” o ad un effetto richiamo pull effect contrapponendo questi due motivi.
Mentre questo schema interpretativo poteva essere utile in passato, ora noi possiamo dire per certo che c’è a livello internazionale una spinta profondissima a emigrare dai Paesi del Terzo Mondo e gli emigranti vanno dove possono e soprattutto dove possono entrare, sia pure attraverso canali molto complessi.
Se si considera la situazione italiana è difficile trovare una spiegazione univoca sul perché della gente venga in Italia.
La prossimità geografica certamente aiuta a capire l’emigrazione dal Marocco e dalla Tunisia, ma non quella dalle Filippine; mentre -ad esempio- l’omogeneità religiosa e la vicinanza culturale certamente spiega l’immigrazione filippina, ma per converso non spiega in alcun modo l’immigrazione senegalese. Quindi per tentare di capire chi arriva in Italia e perché, dobbiamo contemporaneamente avere un quadro di ciò che succede a livello internazionale (soprattutto nel Terzo Mondo) e di ciò che succede dal punto di vista istituzionale,  non solo in Italia ma anche negli altri Paesi europei.
Il tragico paradosso sulle migrazioni internazionali in questa fase è che esse si realizzano in un momento in cui al contempo si registra un aggravamento senza precedenti dell’effetto di spinta dai Paesi del Terzo Mondo e contemporaneamente un orientamento sempre più deciso alla chiusura delle frontiere nei Paesi sviluppati.


IMMIGRAZIONE IN ITALIA



immigrazione regolare

L’IMMIGRAZIONE IN ITALIA

Attualmente, quindi, possiamo operare una distinzione tra:
IMMIGRAZIONE REGOLARE , IRREGOLARE e CLANDESTINA.
Sono considerati immigrati regolari tutti i cittadini stranieri il cui ingresso e la cui permanenza nel territorio dello Stato avvengono nel rispetto delle condizioni di legge,  ovvero rispettivamente :

-        in possesso di passaporto valido o documento equipollente, salvo i casi di esenzione .
-   muniti di permesso di soggiorno o di carta di soggiorno, rilasciati a norma di legge o in possesso di permesso o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all’UE, nei limiti ed alle condizioni previste da specifici accordi .
 Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le Convenzioni Internazionali in vigore per l’Italia ed il Testo Unico non dispongano diversamente.  
Egli, inoltre, può partecipare alla vita pubblica e gli è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la Pubblica  Amministrazione  e nell’ accesso ai Pubblici Servizi.
Considerando l’attuale situazioni in Italia possiamo affermare che:
-  l’immigrazione ha raggiunto in Italia un notevole stadio d’insediamento, desumibile dall’alto tasso di stabilizzazione di alcune comunità e dall’elevata presenza di permessi di soggiorno per motivi di famiglia e di lavoro, oltre che dal numero crescente di minori;
-     l’area di emigrazione verso l’Italia è molto vasta ed è costituita da Paesi appartenenti a tutti i continenti: tuttavia le comunità più ampie provengono dai paesi limitrofi del Nord- Africa e dell’ Europa dell’Est e da alcuni paesi dell’area asiatica  (soprattutto Filippine e Cina) .
 Il nostro Paese si conferma, dunque, come meta privilegiata di flussi          provenienti dall’insieme dei paesi c.d. a forte pressione migratoria (in via di sviluppo o ad economia pianificata ) che, nella terminologia adottata dall’ISTAT , comprende i Paesi dell’ Europa Centro - orientale, dell’Africa, dell’Asia (ad eccezione di Israele e Giappone) e dell’ America centro-meridionale . 
Tra queste presenze, particolare rilievo assumono per la loro intensità gli ingressi, seguiti solo in parte da soggiorni sia temporanei che stabili, di “rifugiati socio economici” (che sfuggono cioè da situazioni di sottosviluppo e crisi socio- economica) come gli albanesi e di “displaced persons” (persone che lasciano i loro paesi devastati da conflitti e guerre civili), provenienti prima dalla ex-Jugoslavia e, più recentemente dal Kurdistan e dal Kosovo.
Sembrerebbe, quindi, che anche in Italia si stia gradualmente affermando il modello migratorio dei Paesi europei di più antica immigrazione  nei quali si assiste ad una
forte concentrazione degli stranieri in base al loro paese di provenienza: basti citare il caso della Germania, Paese nel quale la comunità turca, la più consistente in Europa, quella della ex-Jugoslavia e quella italiana, rappresentano più della metà degli immigrati.
In qualche caso, il legame bilaterale tra paese di origine e di destinazione dei flussi è ancora più selettivo, in particolare quando trova le sue radici nel passato coloniale: tipico il caso dei cittadini algerini che si sono insediati in modo pressoché esclusivo in Francia. Allo stesso modo se, da un lato, in Italia cresce l’importanza di alcuni paesi come luoghi di origine dei flussi migratori, dall’ altro, per questi stessi Paesi l’Italia rappresenta una meta privilegiata, seppure tutt’altro che esclusiva.
Ad esempio per il Marocco il nostro paese rappresenta il quarto in ordine di destinazione dopo Francia e Libia, e infine, nel caso dell’ Albania, l’Italia rappresenta la terra di emigrazione principale .

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