Tutto falso i quasi

False associazioni di beneficenza. False organizzazioni internazionali. Falsi centri di raccolta. False richieste d’aiuto via e-mail. Tutto falso. Tutto tranne i vostri soldi. Tutto tranne i morti. Cominciano così “i giorni dello sciacallo”, l’assalto planetario di coloro che intendono lucrare sul disastro che lo scorso Natale ha spazzato il sud-est asiatico. Come quella, anche questa è un’onda di melma dalle proporzioni ciclopiche e decisa a non risparmiare né il rispetto dei morti né, tantomeno, le buone intenzioni dei vivi. È forse la prima volta da quando esiste Internet, che tutte le polizie del mondo (inclusa la nostra Guardia di Finanza) hanno lanciato un’allerta precisa, congiunta e circostanziata per mettere in guardia gli utenti della Rete da un’ondata di truffe.

 Secondo l’FBI sin dai primi giorni dello scorso gennaio sono state create delle organizzazioni criminali ad hoc, vere e proprie task force, con il preciso scopo di appropriarsi del denaro, delle coordinate bancarie, e delle carte di credito che i compassionevoli internauti vorranno lanciare, a mò di salvagenti, ai superstiti dell’immane tragedia. D’altronde, non c’è sito commerciale, non c’è asta di eBay, non c’è messaggio di posta elettronica che non nomini un ipotetico e generico “ricavato” - quale che esso sia - da devolvere in parte alle vittime del maremoto.
Un frenetico “fai da te”, spesso onesto, che va a mischiarsi con le apparizioni estemporanee dei siti Web di fantomatiche (famigerate?) organizzazioni impegnate a tempo pieno nella raccolta di fondi. E poi “catene di S.Antonio”, richieste individuali di aiuto economico, gruppi di volontariato... mai sentiti prima. Impossibile capire come stiano le cose, dove sia la verità, di chi fidarsi: la melma travolge tutti, in un indefinito impasto che miscela la truffa più becera con una sincera (ma confusa) volontà di aiutare il prossimo. Il lato peggiore della faccenda è che, anche senza l’allerta ufficiale, qualcosa del genere ce lo aspettavamo tutti. Per chi non ha scrupoli, Internet rappresenta una lunghissima canna da pesca dalla quale si possono far sventolare contemporaneamente milioni di ami. E con quale grasso verme conviene ricoprire la punta acuminata di un imbroglio, se non quello della pietà (e del senso di colpa) che tutti proviamo quando qualcun altro (ossia “qualcuno al nostro posto”) viene colpito dal dolore e dalla disgrazia?

Di fronte alla sublime meschinità di questa pesca, l’indignazione serve a poco. Da sempre il male nidifica nel dolore, perché sa bene che l’umana compassione è l’unico “cavallo di Troia” che, prima o poi, ciascuno di noi è disposto a far entrare nel proprio giardino. Ma il crimine vero, quello che non può e non deve essere perdonato, è un altro. Non è di certo la truffa che, su questo pianeta, ha oramai acquisito una sua “dignità”. Il crimine di questi sciacalli è semmai quello di averci fornito nuove scuse per chiamarci fuori, nuove giustificazioni per fare un passo indietro, per riporre la nostra solidarietà in naftalina in attesa di tempi migliori. Se oggi siamo qui a mettervi sul chi va là, ad invitarvi alla prudenza, alla circospezione, a ricordarvi che “fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”, significa che gli sciacalli hanno già fatto gran parte del male che potevano fare. È triste dover riconoscere che la tecnologia ci aiuta a essere solidali con il nostro prossimo semplicemente perché coniuga la nostra disprezzabile pigrizia con il piccolissimo sforzo che ci viene richiesto per fornire il nostro contributo: un tasto, un link, un SMS ed è fatta.
 Ma è ancor più triste che un pur così grande risultato possa essere compromesso dall’ululato, matto e disperato, di chi, invece, nella tecnologia vede soltanto un “campo dei miracoli” in cui seppellire cadaveri per far risorgere zecchini d’oro.

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